Trump firma l’ordine per disboscare le foreste mezza America

Nelle ultime ore, l’ex presidente Donald Trump è tornato protagonista della scena ambientale con un decreto che sta facendo discutere non solo negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo. Si tratta di una decisione che riguarda direttamente le foreste nazionali americane, minacciando seriamente ecosistemi già fragili e aprendo le porte a un maggiore sfruttamento del suolo.

Il nuovo ordine esecutivo denominato “Emergency Situation Determination” – firmato dal Segretario all’Agricoltura – autorizza una drastica riduzione delle protezioni ambientali su circa il 60% delle foreste pubbliche, per un totale di oltre 112 milioni di acri. Un provvedimento che cambia completamente il volto delle politiche ambientali statunitensi.

Cosa prevede il decreto firmato da Trump?

Il decreto consente al Servizio Forestale degli Stati Uniti di bypassare molte delle normative ambientali esistenti, giustificando l’azione con la necessità di contrastare il rischio di incendi boschivi e incentivare la produzione di legname nazionale. In sostanza, l’industria del legname viene rilanciata a discapito della biodiversità e della lotta al cambiamento climatico.

Secondo le prime interpretazioni, si tratterebbe di un’operazione massiccia, che permetterebbe alle motoseghe di entrare anche in zone storicamente protette, incluse quelle che ospitano specie animali e vegetali in via d’estinzione.

Quali sono le vere motivazioni dietro questa mossa?

Ufficialmente, il governo statunitense sostiene che si tratti di una strategia per prevenire gli incendi boschivi, sempre più frequenti e devastanti, in particolare nelle regioni occidentali e meridionali degli USA. Tuttavia, numerosi esperti ambientali e scienziati mettono in discussione questa narrativa.

Chad Hanson, esperto di incendi forestali e autore di numerosi studi in merito, sostiene che il disboscamento non solo non previene gli incendi, ma spesso contribuisce a crearne le condizioni ideali. Riducendo la copertura vegetale e alterando i microclimi locali, le aree disboscate diventano più secche, più calde e quindi più facilmente infiammabili.

Il disboscamento aiuta davvero a prevenire gli incendi?

No, e lo confermano numerosi studi scientifici. Contrariamente a quanto dichiarato da Trump e dai sostenitori del provvedimento, rimuovere alberi e vegetazione in nome della “sicurezza” rappresenta una strategia inefficace e pericolosa.

La vegetazione, infatti, agisce da regolatore climatico locale: raffresca l’aria, trattiene l’umidità e protegge il suolo dall’erosione. Eliminare ampie porzioni di copertura forestale contribuisce ad aumentare le temperature a livello del suolo e a creare condizioni più secche. Un ambiente perfetto per la propagazione degli incendi, non il contrario.

Quali foreste sono coinvolte e quanto è grande l’impatto?

L’impatto è potenzialmente enorme. Si parla di circa 455mila chilometri quadrati di superficie boschiva, un’area più vasta dell’intero stato della California. Le regioni interessate si concentrano soprattutto a ovest e a sud, tra le più vulnerabili sia agli incendi che alla siccità.

Molte di queste foreste sono anche habitat critici per specie a rischio e ospitano ecosistemi complessi che hanno impiegato secoli a svilupparsi. Con l’attuazione del decreto, gran parte di queste aree potrebbero essere distrutte in pochi anni.

Quali sono le conseguenze per la biodiversità?

Drastiche. Le foreste nazionali degli Stati Uniti rappresentano rifugi essenziali per centinaia di specie animali e vegetali, alcune delle quali già in via di estinzione. Ridurre le tutele ambientali significa rendere vulnerabili interi ecosistemi, con effetti a catena che si ripercuotono anche sugli equilibri ecologici globali.

Specie come il gufo maculato del Nord, l’orso grizzly, o il salmone reale del Pacifico rischiano seriamente di vedere ulteriormente compromessi i propri habitat naturali. Il disboscamento di massa potrebbe essere per loro una condanna definitiva.

Cosa dice la comunità scientifica?

La comunità scientifica è compatta nella critica. Chad Hanson e altri scienziati hanno definito il decreto una “bugia su scala nazionale”. L’idea che disboscare possa proteggere le comunità dagli incendi viene smontata da decenni di dati, osservazioni e pubblicazioni.

Numerose ricerche dimostrano che le strategie più efficaci per combattere gli incendi si basano sulla gestione del territorio, sul monitoraggio costante e su tecnologie avanzate di prevenzione, non sulla deforestazione indiscriminata.

La popolazione locale può opporsi a questo decreto?

Purtroppo, uno degli aspetti più controversi del provvedimento è proprio il fatto che limita drasticamente le possibilità di opposizione. La nuova normativa rende molto più difficile, se non impossibile, per cittadini, ONG e comunità locali intervenire o bloccare i progetti di disboscamento.

Le vie legali sono state ridotte, i tempi di valutazione ambientale accorciati, e le alternative considerate nelle valutazioni degli impatti ambientali sono state fortemente limitate. Questo crea un pericoloso precedente di gestione centralizzata e autoritaria delle risorse naturali.

Ci sono implicazioni internazionali?

Assolutamente sì. Gli Stati Uniti sono uno dei principali attori nella lotta globale contro il cambiamento climatico. Le loro politiche ambientali influenzano in modo diretto le strategie degli altri Paesi e contribuiscono alla credibilità delle iniziative multilaterali, come gli Accordi di Parigi.

Una mossa come quella di Trump rischia di minare la fiducia internazionale e di indebolire lo slancio verso la transizione ecologica, già rallentata da tensioni geopolitiche e interessi economici contrastanti.

Quali alternative ci sono al disboscamento?

Le soluzioni esistono e sono numerose. Tra queste: il rafforzamento della prevenzione, la gestione controllata delle foreste, l’adozione di tecnologie di monitoraggio satellitare, e soprattutto investimenti nella resilienza delle comunità locali.

Esistono anche metodi di “thinning” selettivo – ovvero il diradamento controllato – che permette di ridurre i rischi incendiari senza distruggere interi ecosistemi. In aggiunta, l’educazione ambientale e la partecipazione della popolazione nei processi decisionali sono strumenti fondamentali per una gestione sostenibile del patrimonio forestale.

Cosa possiamo fare noi cittadini di fronte a questo scenario?

Informarsi è il primo passo. Condividere contenuti affidabili, sostenere le ONG che si occupano di tutela ambientale, firmare petizioni e fare pressione politica sono tutte azioni che, nel loro insieme, possono fare la differenza.

Non possiamo dimenticare che ogni albero abbattuto in un altro continente incide anche sul nostro futuro. Le foreste sono il polmone verde del mondo, e la loro salvaguardia deve essere una priorità per tutti, indipendentemente dai confini nazionali.

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